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Collocato tra i ketuvim (gli scritti), Qohèlet, assieme a Giobbe, è il più moderno e
interessante fra i sapienziali biblici. Il termine ebraico Qohèlet deriva dal participio passato del verbo qahal, che significa convocare, adunare, riunire in assemblea. Qohèlet indica colui o colei che convoca l’assemblea. In greco è stato tradotto con ekklesiastès (da ekklesia, assemblea appunto), Plutarco usò però questo
termine in modo duplice per indicare sia l’atteggiamento di Qohèlet quando si interroga in qualità di maestro che quando si risponde come spettatore. Per gli ebrei Qohèlet è più di un libro, è una Meghillà, un rotolo, un volume
da srotolare e da comprendere. Durante il Sukkot, la festa delle Capanne, in cui si ringrazia l’Altissimo per il raccolto e si ricorda il lungo cammino del popolo ebraico attraverso il deserto, la lettura del Qohèlet invita a godere dei doni ricevuti senza dimenticare da chi arrivano.
La presente versione forse è meno poetica di quel che ci si potrebbe aspettare, ma cerca di attenersi il più strettamente possibile al testo originale. Commenti e spiegazioni di alcune scelte sono in calce.
Dalla recensione di Roberto Russo: «Proporre la traduzione di un testo considerato ispirato dal divino e inserito in una tradizione che pur contorcendosi alla ricerca di un nuovo spunto di riflessione, difficilmente si allontana dal sentiero aperto dalla consuetudine, che frequentemente si fa autolegittimazione, è, più che complesso, azzardato. Eppure Qohèlet. Parole di Verità di Stefano Momentè (Edizioni Andromeda) conquista da subito per chiarezza ed immediatezza.
Ad una prima lettura chi ha una certa familiarità con l’Ecclesiaste – il titolo proposto per parallelismo da san Girolamo per Qohèlet, dal momento che il termine ebraico significa Colui che riunisce ed ecclesìa significa riunione – individuerà subito delle notevoli discrepanze. Si ha l’idea che una traduzione molto aderente all’originale privi il testo di arrivo del respiro poetico o più generalmente stilistico. Colpisce, al contrario, quanto la presente traduzione restituisca al testo freschezza ed incisività inattese.
Diciamo la verità: leggendo la Bibbia, talvolta la troviamo di difficile comprensione. Chi non si è mai chiesto cosa volessero realmente significare espressioni come “figlio dell’uomo”, ad esempio, o “Dio degli eserciti” o, ancora, “Vanità delle vanità, tutto è vanità”? Farà piacere verificare, allora, quanto sia stato sensibile a tali istanze Stefano Momentè nel tradurre e nel rendere cristallino il messaggio, spesse volte opaco, di Qohèlet.
Nell’introduzione Momentè avverte il lettore che buona parte dell’originale poesia è stata sacrificata al bene della chiarezza; sono lieto di poter dissentire. Il testo, che ho “divorato”, è ricchissimo stilisticamente e animato da una sottile poesia che lascia una profonda traccia nell’immaginazione del lettore». .
