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Viene qui pubblicato con criteri aggiornati il Racconto di un pellegrino, l'autobiografia di S. Ignazio di Loyola. È un testo pilota della spiritualità cristiana. In esso Gesù è visto dal fondatore dei gesuiti come sole da cui egli attinge costantemente energia salvifica per sé e per molti altri. Ignazio percorre i luoghi del suo pellegrinaggio terreno, a partire da quelli della Terra Santa consacrati da Cristo, con gli occhi fissi a questo suo sole, unicamente intento a realizzare la più profonda unione al mistero del Verbo incarnato operante nella storia dell'uomo. È così che, attraversando gradi di esperienza (di scrittura) via via più centrati, il Pellegrino passerà a vivere dalla periferia della sua persona, con i suoi difetti di natura e di cultura, alla pienezza di quella ricca affettività, maturata nell'amicizia con Cristo, per cui si disse del Loyola che aveva il cuore più grande del mondo.
INTRODUZIONE
Argomenti di onore e di grandezza
La prima esperienza umana non è quella della vanità. La parola è antica e indica vuotaggine. Può essere vanità di una moda, di un comportamento, di una posizione e perfino di una cultura. Tra le vanità, la più dolorosa è quella delle aspirazioni del cuore e della mente.
Ci volle un fatale proiettile per prostrare quel cavaliere così sicuro di sé. Con quali argomenti aveva sorretto la sua vita fino a trent'anni? Molto probabilmente con gli stessi usati per convincere il capitano della pericolante fortezza di Pamplona a resistere ai francesi. Argomenti di onore e di grandezza. Che il protagonista del testo, che presentiamo specialmente ai lettori giovani, sia stato un giovanotto con un alto concetto di sé, colto e attento a primeggiare nella carriera delle armi, all'epoca la più apprezzata, è fuori dubbio. Egli credeva ciecamente al codice cavalleresco che professava. Lo aveva bevuto col latte. Né la cultura lo portava in altra direzione. I libri che aveva ordinariamente tra mano erano quei romanzi
di cavalleria, che nutrirono a senso unico il cervello e il cuore di intere generazioni. Prima di Don Chisciotte, egli, il Loyola, era un cavaliere dalla triste figura, come Cervantes chiamerà il protagonista del suo capolavoro. Tenerezza e rabbia può fare al lettore attento un uomo così, che pensa solo a se stesso. Una gran dama la vagheggiava anch'egli, tra le tante. Ma sembra che queste donne, proprio come la Dulcinea donchisciottesca, girassero intorno all'irrimediabile centro dell'amor proprio del cavaliere, quali scialbe lune intorno all'unica interessante Terra. Quello del giovane Loyola, impegnato, a costo di inauditi sacrifici, a far più alta la sua statura, anche fisica, era un gioco fin troppo serio. Lo dimostra la forza d'animo con cui, una volta colpito alla gamba, riuscì a sottoporsi a disperate operazioni chirurgiche pur di non perdere fascino e riuscire a calzare gli stivaletti dell'ultima moda cavalleresca. Non alto di statura, il giovane cavaliere era smisurato nel suo desiderio di eccellere. Abbattuto, sì, a trent'anni, nel 1521, dovranno passare, dalla sconfitta di Pamplona, altri trent'anni.
Seguire la storia della formazione di questo nuovo giudizio, maturato con passione crescente durante la sua vita, dai trent'anni in poi, questo fa il Racconto di un pellegrino.
Il genere letterario del nostro testo non è, propriamente, quello dell'autobiografia, bensì del racconto orale. Chi trascrisse fu il fedele collaboratore, il gesuita portoghese, Ludovico Gonplves da Cdmara (per comune uso Gonzdlez). Questi distinguerà bene le cose sacrosante dalle sue poche osservazioni personali, riportate al margine del manoscritto, e da noi trasferite sempre in nota.
La genesi del racconto
Ignazio, sessantaduenne e infermo, passeggiava, di buon mattino, nel giardino di casa, a Roma, il 4 agosto 1553. Il sollievo della frescura, in quella vigilia della Madonna della Neve, lo predispose ancor più verso il Gonzdlez che gli confidava il tormento della propria tentazione di vanagloria. L'antico ca .